
QUAL È IL CORRETTO CODICE ATECO PER IL DROPSHIPPING? È NECESSARIO APRIRE LA PARTITA IVA? QUALI TASSE SONO DA CONSIDERARE?
Di quale codice ateco si parla per l’attività di dropshipping? Che tasse ci sono da pagare? La partita IVA è da aprire per svolgere questo tipo di attività?
In particolare oggi vedremo:
- Se è obbligatorio per un’attività di dropshipping aprire la partita IVA
- Tutte le pratiche necessarie per aprire in modo consono l’attività e il codice ateco corretto
- I regimi fiscali che si possono adottare per l’attività
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È OBBLIGATORIO PER UN’ATTIVITÀ DI DROPSHIPPING APRIRE LA PARTITA IVA?
Per vendere in Dropshipping si deve essere titolari di Partita IVA, obbligatoriamente. Tale attività è infatti riconosciuta come un’attività svolta in modo continuativo e professionale.
La differenza imprescindibile con i lavoratori autonomi quindi sta nel fatto che loro possono anche vendere senza una partita IVA attiva, nel momento in cui però svolgono un’attività occasionale, coloro che vogliono invece vendere in dropshipping necessitano la partita IVA in quanto è lavoro continuativo.
Anche la convinzione che se non si superano i 5000 € di fatturato non è necessaria la Partita IVA è sbagliata. Tale limite ha infatti rilevanza per i lavoratori autonomi ed è utile solo per determinare se si dovranno pagare i contributi oppure no.
Per essere considerata come un’attività occasionale essa deve inoltre essere svolta per un certo limite di tempo e inoltre non in modo organizzato, vale a dire senza avere dipendenti.
TUTTE LE PRATICHE NECESSARIE PER APRIRE IN MODO CONSONO L’ATTIVITÀ E IL CODICE ATECO CORRETTO
La prima cosa da fare è prestare telematicamente una pratica all’Agenzia delle Entrate, per richiedere il numero della partita IVA. All’interno di questa pratica bisogna anche indicare il codice Ateco, ovvero il codice che identifica l’attività che si va a svolgere con la partita IVA che si vuole aprire: il codice ateco per l’attività di Dropshipping è il 47.91.10, che riconosce un’attività come “commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato via internet”.
La seconda pratica riguarda l’iscrizione all’interno del Registro dell’Imprese, presso la Camera di Commercio.
La terza pratica conta invece l’iscrizione alla Gestione Commercianti INPS, fondamentale per poter pagare i contributi INPS.
Un punto a sfavore della Gestione Commercianti è però il versamento di alcuni contributi minimi obbligatori, i quali sono indipendenti dalle fatturato realizzato. Tuttavia il commerciante che svolge l’attività e in contemporanea è anche lavoratore dipendente a tempo pieno, può chiedere l’esenzione dal pagamento. Se invece si adotta il regime forfettario, il commerciante può chiedere uno sconto del 35% sui contributi minimi obbligatori.
L’ultima pratica necessaria per essere idoneo per l’inizio della propria attività è la SCIA, ovvero la Segnalazione Certificata di inizio Attività. Questa pratica deve essere inviata all’ufficio SUAP del Comune della sede dell’attività.
I REGIMI FISCALI CHE SI POSSONO ADOTTARE PER L’ATTIVITÀ
Quando si vende in Dropshipping, colui che svolge l’attività ha la possibilità di scegliere tra quattro regimi. È possibile scegliere di adottare il regime forfettario, il regime della ditta individuale e delle società di persone, oppure ancora il regime delle società di capitali. I regimi, essendo diversi tra loro, hanno inevitabilmente dei vantaggi e degli svantaggi diversi.
IL REGIME FORFETTARIO
Le condizioni favorevoli per scegliere il regime forfetario sono sicuramente la possibilità di avere una gestione semplice dell’attività, che prevede di conseguenza anche costi bassi e l’assenza di grandi adempimenti.
Si tratta di un regime molto forte sul mercato italiano. Il commerciante infatti non dovendo applicare l’IVA sul prezzo di vendita chiede, ai consumatori finali, un prezzo minore. In ultimo da non dimenticare è anche la possibilità che dà in termini di richiesta di sconto sui contributi previdenziali minimi obbligatori.
Prevede però anche degli svantaggi, come per esempio il limite dei 65.000 € di fatturato, nonostante negli ultimi giorni si stia discutendo sulla possibilità di aumentarlo ad 85.000 €, ma anche il fatto che l’IVA pagata sugli acquisti non è recuperabile.
SOCIETÀ DI PERSONE E DITTE INDIVIDUALI
Si trattano di due regimi fiscali differenti, ditta individuale e società di persone, ma possiedono gli stessi vantaggi e svantaggi.
Per quando concerne i vantaggi, prendendo in considerazione il confronto con la società di capitali, possiamo notare che la gestione di una ditta individuale o di una società di persone risulta più semplice, e di conseguenza ci sono costi minori e anche adempimenti minori. Prendendo in considerazione invece il confronto con il regime forfettario, le imposte che si pagano per un regime come quello di ditta individuale o società di persone vengono calcolate sul margine reale, e non sul margine imposto dal coefficiente di redditività.
Gli svantaggi riguardano invece la tassazione che è più alta ma anche la responsabilità illimitata che hanno i soci. I creditori quindi, in caso di mancato pagamento dei debiti, possono rivalersi sul patrimonio personale del titolare di Partita IVA o dei soci.
LE SOCIETÀ DI CAPITALI
Il regime delle società di capitali, ha come vantaggio, sicuramente l’ottimizzazione fiscale ma anche la protezione del patrimonio personale dei soci. Si parla di ottimizzazione fiscale perché tale regime permette di inserire in contabilità una serie di costi che permettono di diminuire l’importo da sottoporre a tassazione. Da non sottovalutare è inoltre il fatto che i creditori possono rivalersi solo sul patrimonio investito nella società.
Anche tale regime ha però i suoi svantaggi, i quali riguardano i maggiori costi che si devono sostenere, la gestione più complessa e la maggiore formalità richiesta. È bene quindi andare a costituire una società di capitali solo se si ha un certo volume d’affari.
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